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Questo è un pezzo di formaggio… Montasio DOP

Ceci est un morceau de fromage, n’est-ce pas?

Come fondamento della nostra stessa esistenza, il cibo ha da sempre avuto una parte significativa nella nostra vista sociale e culturale. Perciò non c’è da stupirsi se anche l’arte figurativa prende spunto dall’arte culinaria.

Nei secoli, infatti, diversi artisti, pittori e scultori, si sono cimentati nel raffigurare il cibo, dipingendo nature morte, sontuosi banchetti, tavole imbastite di pietanze di ogni tipo. E alcuni di loro hanno utilizzato il formaggio come elemento della composizione artistica, tra questi si possono citare Salvador Dalì, con Persistenza della memoria, o le sculture contemporanee di Sarah Kaufmann.

Ma queste espressioni artistiche non sono solamente rappresentazioni della realtà, che narrano la storia e la società del tempo, hanno bensì dei significati nascosti e giocano su dicotomie e contraddizioni tra ciò che vediamo e ciò che l’arte invece esprime.

Ed è in questo frangente che René Magritte realizzò l’opera Ceci est un morceau de fromage (Questo è un pezzo di formaggio, 1936 o 1937, collezione privata), in cui il tema centrale dell’opera è la raffigurazione di un pezzo di formaggio.

Esponente belga del Surrealismo, avanguardia artistica influenzata dalle teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud e dalla condizione umana a cavallo delle due guerre mondiali, Magritte, con la sua arte, decise di rompere con la razionalità e staticità della correlazione tra l’oggetto e il suo simbolo, ovvero tra ciò che l’oggetto rappresentato significa realmente.

Il tratto distintivo delle tele di Magritte è la contraddizione, per questo veniva soprannominato le saboteur tranquille (il disturbatore silenzioso). Così come aveva fatto con i dipinti Il tradimento delle immagini (La Trahison des images, 1929) e I due misteri (Les deux mysteres, 1966), anche con l’opera Questo è un pezzo di formaggio Magritte gioca sul paradosso, sulla totale assenza di logica e razionalità: colloca, infatti, il dipinto di una fetta di formaggio sotto la cloche di una alzata di vetro. Un gesto volto a disorientare chi osserva l’opera.

La domanda giunge spontanea: è realmente un pezzo di formaggio o è solamente il dipinto di un pezzo di formaggio?

L’intento di René Magritte è proprio questo, instillare dei dubbi nell’osservatore, portandolo a riflettere sulla realtà delle cose e sul significato che noi attribuiamo a loro.

Per noi non ci sono dubbi, questa è certamente una fetta di formaggio.
Precisamente, una fetta di Montasio DOP.

 

 

Autrice: Nicole Bragagnolo

Formaggio Montasio: un gusto statuario

I formaggi, freschi o stagionati che siano, vengono prodotti in tutto il mondo e assaporati in tanti modi, antichi e moderni. Gustati a cubetti, grattugiati, a fette, accompagnati ad un buon tagliere di salumi o ricoperti da fiumi di dolcissimo miele, sono spesso ingredienti segreti di preparazioni gastronomiche uniche: capolavori dal valore inestimabile e dal sapore raro.

Che questo fantastico prodotto sia un pilastro portante della cultura culinaria mondiale è risaputo, ma che addirittura potesse essere considerato una vera e propria opera d’arte non è qualcosa di noto per tutti.

Secondo Michelangelo, ogni blocco di marmo conteneva dentro di sé una statua, e spettava allo scultore scoprirla e liberarla dal suo involucro. Allo stesso modo, Sarah Kaufmann, artista professionista, vede in ogni forma un delizioso capolavoro pronto ad emergere per stupirci con la sua bellezza e bontà. In questo caso però non parliamo di pietra, ma di squisito formaggio!

La passione di Sarah per l’arte è nata quando era bambina. Amava infatti disegnare e per questo, una volta al college, decise di intraprendere gli studi di arte commerciale e pubblicità. Non ha invece mai studiato scultura, per cui possiamo dire che le sue opere sono frutto di un talento naturale, e di un grande appetito! Secondo Sarah, scolpire con il formaggio è più piacevole che farlo con il legno o la pietra perché è possibile fare uno snack mentre si lavora, e come darle torto.

Oggi è richiestissima per matrimoni, feste aziendali e associazioni casearie, che richiedono la sua maestria per molti eventi. Da statue di Babbo Natale a riproduzioni di Ronald Regan, la Cheese Lady (questo il suo soprannome) ha realizzato opere di oltre 3 metri di altezza utilizzando alcuni coltelli e scalpelli, originariamente pensati per le sculture in legno, e modificati per le sue necessità.

Sarah fa parte inoltre di un movimento artistico in crescita, che condivide un obiettivo comune piuttosto impegnativo: portare l’arte legata al cibo fuori dalle sagre di paese e renderla un concetto più diffuso e mainstream.

Certamente, se decidessimo di esportare questa tradizione anche nel nostro bel paese, di certo non avremmo problemi di materia prima. Eh si, perché con un prodotto di così elevata qualità come il Montasio, le nostre montagne potrebbero diventare musei gastronomici: vallate meravigliose dove si respirano profumi di un’epoca caratterizzata dalla vita bucolica e nelle quali il tempo sembra essersi fermato. E noi rimarremmo lì, esterrefatti, ad ammirare profumate opere d’arte casearia, capolavori di maestria e tradizione.

Programma di Sviluppo Rurale 2014/2020 – Bando per l’accesso individuale – Sottomisura 3.2 approvato con D.G.R. n.1069, dd.25.06.2019

 

Autore: Federico Mandolese

La bellezza da mangiare: se il Montasio fosse un’opera d’arte.

Immaginiamo di essere in un museo. Abbiamo attraversato corridoi luminosi costellati di piedistalli con sopra sculture neoclassiche, vasame antico, teche interamente ricoperte di gioielli di altre epoche. Alle pareti sono appese tele di diversi periodi storici che mostrano ritratti di donne, paesaggi bucolici e nature morte. Respiriamo arte. Siamo circondati dal genio di persone che hanno attraversato questa vita prima di noi, dalla loro espressione, dal loro sguardo sul mondo. L’atmosfera è ricca di bellezza.

Poi la guida si ferma davanti a una teca di cristallo a mezza altezza dalla quale si sono appena discostati altri due gruppetti di visitatori, assume una postura fiera e dice: «Qui abbiamo un capolavoro dell’arte casearia.»

Incuriositi ci disponiamo tutto intorno alla teca e ammiriamo una forma di formaggio cilindrica con facce piane o leggermente convesse, imponente e perfetta.

La targhetta avvitata alla base della teca dice: MONTASIO DOP.

«Il Montasio appartiene alla grande famiglia dei formaggi alpini.» Riprende la guida muovendo qualche passo intorno alla teca lucidissima.

«Questi formaggi hanno avuto origine agli inizi del millennio. La loro produzione serviva a mettere al sicuro un prodotto che si rovina facilmente come il latte e farlo durare a lungo sotto forma di cibo solido. Questo garantiva riserve di cibo per i periodi in cui il latte scarseggiava o era completamente assente. Pensate che invenzione: che novità per l’epoca!»

«In questo modo potevano mangiare il formaggio tutto l’anno come noi!» Esclama un bambino e la guida sorride.

«Proprio così: adesso vi racconto un po’ di storia. Il Montasio nasce verso il 1200 nelle vallate delle Alpi Giulie e Carniche grazie alla costanza e intelligenza dei frati Benedettini. A Moggio Udinese (sul versante nord del Montasio) si trova ancora adesso il convento, oggi utilizzato dalle suore Clarisse, in cui probabilmente vennero affinate le varie tecniche di produzione proprie dei malghesi della zona. Ma ammiriamo la bellezza di questa forma: la crosta si presenta liscia, sottile, chiara che va scurendosi con la stagionatura. La pasta è compatta, elastica. Più morbida nella versione Fresco, diventa più dura e friabile quando è Stagionato. Il sapore è morbido e delicato nel Fresco, che va via via rinforzandosi nel mezzano fino a diventare deciso con una lieve piccantezza nello Stagionato e particolarmente aromatico nella tipologia Stravecchio. Quindi possiamo dire di trovarci davanti a una vera e propria opera d’art…»

«Eh no» fa il ragazzino strizzandole l’occhio, «prima di affermarlo con certezza dobbiamo assaggiarlo!»

La guida ride e annuisce. «Hai ragione: stavo per invitare tutti alla degustazione nella sala qui accanto!»

Applausi. Perché se c’è Montasio è sempre festa.

 

 

Autore: Emanuela Valentini

 

Quando il formaggio ispirò un’opera d’arte.

Nel 1934, il quadro “Persistenza della memoria” venne acquistato dal Museum of Modern Art di New York, dov’è attualmente esposto, e costituisce uno degli elementi più importanti della collezione del museo.

La storia di com’è nata quest’opera sugli orologi molli di Dalì è stata svelata dallo stesso artista all’interno della sua autobiografia, intitolata La mia vita segreta. Stando a quanto raccontato dallo stesso Dalì, questo capolavoro avrebbe preso vita in una sera come un’altra, nella quale Salvador e sua moglie Gala sarebbero dovuti uscire con amici per andare al cinema. A causa di un forte mal di testa, Dalì preferì rimanere a casa, mentre sua moglie uscì con gli amici; prima di andare al cinema, però, la coppia cenò a casa, mangiando del formaggio fresco; l’artista rimase colpito dall’eccezionale mollezza dell’alimento, e, una volta rimasto solo, continuò a riflettere sulla particolare consistenza del formaggio.

Successivamente, si recò nel suo atelier, dove si fermò ad osservare il suo ultimo lavoro ancora in fase di completamento, si trattava di una veduta di Port Lligat, e, in quell’attimo, ci fu l’idea geniale riguardo ai quattro orologi presenti nella scena: tre di loro si stanno sciogliendo, prendendo la forma degli elementi su cui sono appoggiati, mentre il quarto è rimasto solido, ma ricoperto da tante formiche nere, insetto per cui il pittore nutriva una grande fobia.

Nella scena, Dalì scelse di dipingere gli orologi, simbolo dello scorrere inesorabile del tempo, che rimangono impressi nella mente proprio per il loro particolare aspetto ispirato dalla mollezza di un formaggio!

Pensando al nostro Montasio, delle diverse stagionature quella che più richiama la mollezza è senza dubbio la consistenza del Fresco. Chissà il suo sapore delicato cosa avrebbe evocato nella mente del Re del Surrealismo.